Edizioni Star Comics intervista Atsushi Kaneko

Pubblicata il 04/04/2016 — Ultimo aggiornamento 01/10/2020

In preparazione degli eventi connessi alla sua presenza come ospite di Edizioni Star Comics presso l’imminente Napoli Comicon 2016, giunto oramai al diciottesimo anno di allestimento, la nostra casa editrice ha il grande onore di pubblicare, qui di seguito, un’esclusiva intervista al grande mangaka giapponese Atsushi Kaneko. L’acclamato autore di Wet Moon, Deathco e Bambi (tutti in catalogo Star Comics) sarà infatti presente, presso la diciottesima edizione dell’importante kermesse fumettistica partenopea, il 25 aprile per un imperdibile workshop (qui il regolamento di partecipazione), nonché per ben tre sessioni di autografi durante le altre giornate.

Non vi tratteniamo ulteriormente: ecco le parole di Kaneko sensei.

1. Dal suo tratto e dagli elementi che inserisce nelle sue sceneggiature si evince una forte passione per la cultura americana, in ambito artistico figurativo (influenza dei pittori della Pop Art), musicale (rimandi al punk e al rockabilly) e cinematografico (inquadrature, sequenze e meccanismi narrativi debitori al cinema hard boiled e a quello di David Lynch). Da dove nasce quest’amore?

Ho conosciuto il punk rock quando ero un teenager e ne sono immediatamente diventato un fan sfegatato. Dopo questo incontro, ho cominciato ad assorbire l’arte, i film e la letteratura tramite il filtro di quella cultura. Credo che le mie opere sembrino americane perché i miei disegni sono fortemente ispirati alla Lowbrow Art e alla Kustom Kulture. Le mie composizioni, il mio modo di narrare e le atmosfere che creo sono influenzati dai film noir di Kenneth Anger e David Lynch, ma mi piace anche inserire nei miei lavori gli elementi junk dei film horror e SF di serie B tipici degli anni ’50 e ’60. Il fatto che ciò che mi ispira sia spesso di provenienza americana non significa però che io ami profondamente la cultura americana in generale. Quello a cui mi sono appassionato all’inizio è il punk rock inglese, a cui sono seguiti i film francesi, italiani e tedeschi. Inoltre apprezzo molto la musica sudamericana e la letteratura giapponese. Mi piace seguire le culture di vari paesi, se le reputo interessanti.

2. In alcune interviste ha affermato di non conoscere il mondo del fumetto (occidentale e orientale) quanto ci si aspetterebbe da un fumettista professionista. È possibile essere un mangaka e non essere perfettamente aggiornati su quello che succede in questo settore?

Come tanti altri bambini giapponesi, leggevo manga da piccolo. Crescendo, ho iniziato a leggere alcuni fumetti underground americani che avevo conosciuto tramite le copertine dei dischi punk rock ma non sono mai stato un lettore molto appassionato di fumetti. Durante l’adolescenza, i miei interessi viravano più verso la musica, i film e la letteratura. Credo che la singolarità delle mie opere sia dovuta a questa mia tendenza, e per mantenerla evito intenzionalmente di leggere fumetti di altri autori. Non è difficile disegnare fumetti sapendo poco o nulla di fumetti. Per me è naturale creare manga senza avere ben chiaro da cosa ho imparato a narrare per immagini, se dalla letteratura o dai film. Riguardo al disegno, invece, ho sicuramente appreso molto osservando le illustrazioni della Lowbrow Art. Se fosse possibile, vorrei essere sempre identificato come un autore alternativo, staccato dalle tendenze e dalla storia classica del mondo dei fumetti.

3. Lei ha lavorato anche come regista di film. Come mai ha deciso di cambiare?

Ho fatto il regista perché ne ho avuto l’occasione, quando il produttore del film Ranpo Jigoku, che aveva letto le mie opere, mi ha proposto un lavoro. Per un certo periodo della mia vita ho desiderato ardentemente diventare un regista e per questo ho frequentato anche una scuola. Quindi non avevo ragione di rifiutare una proposta così interessante. Per me è stato naturale accettare un lavoro di regia. Tuttavia ho deciso di diventare un mangaka perché ho pensato che i fumetti fossero dei film che ti potevi creare da solo.

4. Una caratteristica che accomuna tutte le sue opere è lo humor nero, che permea sia le battute dei personaggi che le situazioni in cui vengono a trovarsi. È una concezione che l’accompagna anche nella vita di tutti i giorni?

La base su cui sviluppo le mie creazioni è la “rabbia”, sia quella personale sia quella universale. Penso che esprimere questo sentimento così controverso in modo diretto non sia molto intelligente, per questo ricorro allo humor nero, che mi consente di trasmettere le emozioni in maniera più acuta. Nella vita quotidiana mi appello al mio sense of humor per trasformare e mitigare sensazioni negative e mi viene naturale farlo anche nel fumetto.

5. È vero che non ama lavorare con una squadra di assistenti? In che modo il lavoro di gruppo interagisce negativamente con il suo processo creativo?

Per me i fumetti sono cose molto intime e personali, dalle quali posso trarre la gioia di riuscire a controllare ogni singolo passaggio. In realtà lavorare da solo è molto stancante, ma la mia priorità assoluta è far sì che l’opera venga fuori pura e genuina, anche se con qualche difetto. Per questo motivo lavoro da solo. Un’altra ragione sta sicuramente nella mia difficoltà ad adattarmi ai ritmi di lavoro degli altri o a fare in modo che gli altri si adattino ai miei… In fase di creazione preferisco comportarmi in maniera egoistica e lasciare spazio solo a me e alla mia opera. In passato mi è capitato di lavorare in gruppo, specie quando ho seguito lavori di regia, ma per i manga preferisco fare tutto da solo.

6. Nelle sue opere la figura femminile è protagonista pressoché assoluta: la donna (Wet Moon)/ragazza (BAMBi remodeled)/bambina (Deathco) è sempre forte, consapevole delle sue possibilità e fortemente conturbante, ma allo stesso tempo appare ferita, sfiduciata, bisognosa di cure all’occhio di chi sa cogliere le debolezze delle personalità da lei tratteggiate. Come mai predilige la donna, e con queste caratteristiche psicologiche, come fulcro delle sue storie?

Generalmente perché faccio fatica a staccare i protagonisti maschili da me stesso. Optando per delle protagoniste femminili, posso creare la loro figura da zero, con l’immaginazione completamente libera. Quando costruisco un personaggio, mi interessa che abbia un carattere delineato da due elementi contraddittori. Il cuore della gente è sempre soggetto ad alti e bassi e le emozioni si muovono tra due estremità opposte, come la forza e la debolezza, la purezza e la furbizia. Credo che i miei lettori percepiscano questo mio intento e siano a loro volta affascinati dalla forza e fragilità dei personaggi che tratteggio.


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